copertina aspetti etica e leggi della fotografia naturalistica

Etica e leggi nella fotografia naturalistica

Introduzione all’etica e leggi della fotografia naturalistica

Aspetti generali

Indice:

Introduzione a questo manuale di linee guida

Quasi ogni tipologia di fotografia naturalistica ha delle implicazioni di tipo etico e spesso anche legale: moltissime pratiche anche apparentemente normali possono infatti arrecare disturbo o danno alla fauna selvatica. Anzi, da un punto di  vista un po’ più estremo, qualsiasi attività e anche la sola presenza dell’uomo nell’ambiente naturale può già arrecare danno/disturbo: anche una semplice passeggiata in un prato può provocare disturbo involontario e  ferimento/morte di numerosi invertebrati senza contare tutti i vegetali schiacciati.

L’impatto della fotografia naturalistica sta diventando un problema negli ultimi anni in tutto il Pianeta a causa dell’incremento quasi esponenziale del numero di fotografi naturalisti. Le moderne tecnologie della fotografia digitale hanno infatti reso più semplice l’uso di apparecchiature fotografiche e gli stessi prezzi si sono notevolmente abbassati rendendole accessibili ad un maggior numero di persone.

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Quello che dunque ha impatto sulla fauna e sugli ambienti non è la fotografia naturalistica in sé o il singolo fotografo naturalista, ma l’elevato numero di fotografi che vanno in giro per natura; oltre ad un discorso quantitativo, inoltre, ciò che amplifica l’impatto dei fotografi naturalisti è anche la scarsa preparazione e sensibilità naturalistica di alcuni fotografi che quindi rischiano di creare disturbo fino al livello di danni ai soggetti e all’ambiente.

Quando si arreca disturbo? quando la nostra presenza/attività influenza negativamente il comportamento degli animali. Ovviamente alcuni tipi di disturbo sono molto lievi e quindi non vengono presi in considerazione. Quando il disturbo però supera un certo livello diventa pericoloso e in questo caso si parla di danni.

E’ importante distinguere il disturbo dal danno: un disturbo, se in forma leggera, non arreca danni, ma può farlo in casi più estremi,  quando l’intensità o la frequenza del disturbo sono maggiori.

Per esempio:  se passeggiando in un parco, provochiamo la fuga di un picchio verde che si stava alimentando sul terreno questo è un disturbo ma non un danno; se facendo lavori di ristrutturazione, la continua presenza di operai disturba una coppia di civette che ha il nido nelle vicinanze, molto probabilmente gli adulti abbandoneranno la cova in questo caso il disturbo si trasforma in danno.

Il disturbo quindi può avere diversi livelli. Un disturbo di basso livello non è assolutamente dannoso mentre un disturbo di livello superiore (per intensità e/o frequenza o altri fattori) può provocare dei danni.

Le leggi italiane non sono specifiche sulla fotografia naturalistica, molte  vietano il “disturbo” ma non indicano i parametri di riferimento esatti, non spiegano cosa vuol dire disturbo, quando un qualcosa crea disturbo o meno e quale intensità del disturbo sia vietata. Il contetto fondamentale è che la fotografia naturalistica, al pari di molte altre attività a contatto con la natura, non è e non deve essere sinonimo di disturbo; una legge può vietare di disturbare la fauna ma questo non deve tradursi in un divieto di fotografare.

Queste linee guida vogliono essere un punto di riferimento con indicazioni precise e misurabili, sia per i fotografi naturalisti sia ad uso anche degli organi preposti al controllo che potranno così valutare se si configura un disturbo grave fino al livello di danno o meno durante i controlli sul territorio.

A differenza di molti altri codici di condotta nazionali e internazionali che “vietano” (non legalmente) tutto lasciando spazio solo alla fotografia naturalistica “purista”, e che ovviamente non vengono rispettati quasi da nessuno, lo scopo di questo documento è invece quello di sensibilizzare i lettori, indicando ciò che si può fare e ciò che non si può fare dal punto di vista legale, ma anche indicando ciò che non si dovrebbe fare perché eticamente scorretto senza però porre troppi divieti etici; molto meglio spiegare, ad esempio, come agire per annullare o minimizzare il disturbo in alcune tecniche fotografiche che potrebbero risultare pericolose piuttosto che “vietarle”. IL DIVIETO non è mai la soluzione.

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Tecnologie moderne con impatti negativi: il risvolto della medaglia

Anche le tecnologie moderne, associate all’aumento del numero di fotografi o pseudo-fotografi, contribuiscono a peggiorare le cose e aumentare l’impatto sull’ambiente, in particolare due tecnologie ultimamente molto diffuse, creano situazioni molto pericolose nell’ambito naturalistico:

-Smartphone:

Oggi, chiunque abbia uno smartphone con fotocamera può cimentarsi con la fotografia naturalistica. Questo ha creato una vasta comunità di fotografi dilettanti e ha aiutato a coinvolgere nuove persone nella natura, gli smartphone hanno reso la fotografia naturalistica accessibile a chiunque ma questo fenomeno porta anche conseguenze negative per la fauna, la flora e gli ambienti; come solitamente avviene quando un fenomeno diventa di massa si creano dei problemi. Tuttavia, gli smartphone stanno creando anche dei problemi:

1) anche se alcuni modelli hanno lenti tele non arrivano alle prestazioni di un teleobiettivo serio portando quindi le persone ad avvicinarsi agli animali, a inseguirli e stressarli

2) Sono diventati di moda i selfie con gli animali stessi nel caso di soggetti confidenti, anche in questo caso si crea stress ai soggetti e si aumenta la loro eventuale confidenza.

3) Molte più persone interagiscono con la natura per fare foto, ma in modo irresponsabile. La ricerca dello scatto perfeto prota le persone a calpestare piante, rovinare ambienti, deviare dai sentieri causando disturbo e distruzione di habitat sensibili.

4) Rischi legati alla condivisone online: la pubblicazione di foto con geotag (coordinate GPS) spesso involontaria facilita attività una maggiore affluenza di persone in determinati posti ma anche il bracconaggio.

-Droni

Anche l’uso sempre più diffuso di questi strumenti tecnologici in ambienti naturali sta sollevando preoccupazioni riguardo al loro impatto sulla fauna selvatica e sguli ecosistemi. Anche in questo caso quando un fenomeno diventa di massa spuntano i problemi; l’impiego indiscriminato dei droni da parte del vasto pubblico sta creando non pochi problemi di conservazione. L’argomento droni verrà approfondito in un apposito capitolo successivo.

Capriolo, capreolus capreolus, Roe deer

Terminologia

Spavento

E’ l’elemento base del disturbo.  Spaventare un animale non vuol dire creare disturbo, ma spaventare un animale con continuità cioè con una certa frequenza porta al disturbo. Un esempio: passare con a piedi vicino a un casolare dove è appollaiato un gheppio ne provocherà la fuga a causa dello spavento ma questo non può essere considerato ancora un disturbo.

Disturbo

E’ l’insieme di componenti elementari (spavento); spaventare con continuità un animale crea disturbo. Per esempio: passare più volte al giorno, tutti i giorni, vicino a un casolare frequentato da una coppia di gheppi, ne provocherà sempre la fuga a causa dello spavento e la continuità di questo evento col passare del tempo creerà disturbo.

Stress

E’ la base fisiologica dello spavento (componente elementare) e del disturbo (insieme di componenti elementari); il semplice spavento crea una leggera perturbazione a livello fisiologico, cioè una scarica di adrenalina.

Un insieme di situazioni di spavento crea un disturbo e il suo effetto a livello fisiologico è superiore alla semplice scarica di adrenalina; nel caso del disturbo si verificano una serie di meccanismi fisiologici che nel loro insieme sono chiamati Stress.

A livello fisiologico lo stress si identifica con una secrezione psico-indotta di ormoni, in particolare ormoni prodotti delle ghiandole surrenali in risposta a stimoli ipotalamo-ipofisari; gli ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali come reazione fisiologica allo stress sono il cortisolo e l’aldosterone; il cortisolo è detto anche ormone dello stress (a differenza della serotonina che invece è l’ormone del benessere).  A livello fisico gli ormoni dello stress provocano diversi problemi agli animali per esempio inibiscono gli ormoni riproduttivi, indeboliscono il sistema immunitario, influenzano il metabolismo etc.

Danno

Il disturbo a sua volta non è sinonimo di danno ma un disturbo intenso o grave può creare un danno. Per danno si intende quando il disturbo provoca conseguenze dirette sugli animali: continuando con l’esmepio precedente, un disturbo continuato presso il sito di nidificazione dei gheppi può portare all’abbandono del nido oppure una uscita precoce dei pulli con conseguente maggior rischio di morte.

Etica

La disciplina che studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai comportamenti uno status deontologico, cioè distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto a comportamenti ritenuti all’opposto ingiusti, illeciti o cattivi secondo un modello comportamentale ideale. Un codice etico definisce l’insieme di principi di condotta che rispecchia particolari criteri di adeguatezza e opportunità in riferimento ad un particolare contesto come in questo caso quello della fotografia naturalistica. Stabilire un codice etico e cioè distinguere quello che può essere eticamente corretto e ciò che non lo è risulta particolarmente difficile.

Legalità

Anche se molto lacunosa in Italia esiste una legislazione che in parte regolamenta le attività legate a natura e animali. Non esiste ancora una legislazione nazionale chiara e completa sulla fotografia sebbene già diverse leggi locali (regionali, comunali) si stiano adeguando. In assenza di una legislazione chiara e di livello nazionale risulta quindi difficile molte volte distinguere ciò che è legale da ciò che non lo è.

Conservazione

Col termine “conservazione” si intende la conservazione e protezione delle specie e delle popolazioni selvatiche;  la “Biologia della conservazione” (Conservation Biology) è la disciplina che studia gli aspetti scientifici e le tecniche per la conservazione della biodiversità, delle specie e delle loro popolazioni. Anche se può sembrare paradossale, in termini di Biologia della conservazione salvare un singolo individuo non ha alcun valore rispetto alla salvaguardia in grande scala dell’intera popolazione di una specie.

Emulazione

E’ il desiderio di imitare, eguagliare o superare altri in qualcosa. Nel campo della fotografia naturalistica (e della fotografia in generale) è un fenomeno molto diffuso soprattutto nell’ultimo decennio grazie a internet e tutto ciò che ne deriva (comunità virtuali, social network etc.). Nel campo della fotografia naturalistica il termine emulazione di per sé non ha un connotato negativo, fino a quando un fotografo non decide di “emulare” determinati tipi di foto che richiedono tecniche pericolose per gli animali o che possono creare disturbo/stress e danno.

Distanza di fuga

Distinzione tra distanza di fuga (FID) e distanza di allerta (AD)

La distanza di fuga (chiamata anche “Flight-initiation distance o “flush distance” o “escape distance”) è la distanza a cui un animale inizia fuggire, correndo o volando, da un pericolo.

La distanza di fuga è un parametro molto usato dai ricercatori negli studi comportamentali sulla fauna selvatica; la distanza di fuga infatti è un comportamento antipredatorio e deve essere ottimizzato al massimo: gli animali devono infatti minimizzare i costi della fuga, rimanendo immobili all’avvicinarsi di un predatore finchè il costo del rimanere fermi supera il costo della fuga.

La distanza di allerta è la distanza a cui, all’avvicinarsi di un umano o di un predatore, un animale esibisce comportamenti di allerta (per esempio alzare la testa, guardare verso l’intruso, smettere di fare quello che stava facendo etc.). La distanza di allerta può essere molto influenzata da diversi fattori come l’habitat (in ambienti ricchi di vegetazione che offre nascondiglio la distanaz di allerta si accorcia); inoltre le specie più grandi tra gli uccelli hanno distanze di allerta in genere maggiori rispetto alle specie più piccole.

Le distanze di allerta e di fuga sono state molto studiate sia in Europa che negli Stati Uniti perché offrono importanti parametri per la pianificazione dei percorsi per il pubblico nelle aree protette; quando un visitatore attraversa dei percorsi naturalistici all’interno di un parco o area protetta provoca un allarme generale in tutta la fauna che si trova nelle vicinanze; anche il semplice passaggio su un percorso, provocando allarme, ha delle conseguenze, infatti molti uccelli per esempio, incrementano, al passaggio di una persona, il tempo dedicato alla vigilanza diminuendo invece il tempo dedicato ad alimentarsi (Burger & Gochfeld, 1998; Fernandez-Juricic & Telleria, 2000) oppure fuggono in volo.

Falco pellegrino in allarme
Falco pellegrino in allarme, operai facevano lavori sul tetto dell’edificio dove la coppia di falchi nidifica

Esempi di studi  sulle distanze di fuga

Negli Stati Uniti sono stati condotti molti studi sulle distanze di fuga e distanze di allarme, in parte studi simili sono stati realizzati anche in Europa. La finalità principale di questi studi è la progettazione dei sentieri e percorsi nelle aree protette soprattutto vicino a siti di nidificazione noti di determinate specie protette o zone frequentate da mammiferi protetti e sensibili.  La misura delle distanze di fuga servea cerare delle zone di protezione (Buffer Zones) attorno ai siti delicati per mammiferi e uccelli, nella progettazione di percorsi, sentieri, strutture di osservazione nelle aree protette.
Nelle tabelle seguenti sono raccolti alcuni dati estratti dalla bibliografia internazionale sulle distanze di sicurezza da tenere per determinate specie di uccelli rapaci e mammiferi.

SpecieDistanza di sicurezza consigliata
Aquila reale (Golden Eagle)105–390 metri
Aquila di mare testabianca (Bald Eagle)50–884 metri
Falco pellegrino (Peregrine Falcon)100–200 metri
Gufo reale (Great Horned Owl)≥100 metri
Gufo delle nevi (Snowy Owl)≥100 metri
Civetta capogrosso (Boreal Owl)≥100 metri
Falco pescatore (Osprey)100–200 metri
Nibbio reale (Red Kite)100–200 metri
Gufo comune (Long-eared Owl)≥100 metri
Gufo di palude (Short-eared Owl)≥100 metri
SpecieDistanza di sicurezza consigliata
Lupo (Canis lupus)≥ 100 metri
Sciacallo dorato (Canis aureus)≥ 100 metri
Volpe rossa (Vulpes vulpes)≥ 50 metri
Tasso europeo (Meles meles)≥ 30 metri
Istrice (Hystrix cristata)≥ 30 metri
Faina (Martes foina)≥ 30 metri

Distanze di fuga in situazioni riproduttive vicino al nido suddivise per periodi:

SpecieDistanza di allerta (AD) – incubazione (m)Distanza di fuga (FID) – incubazione (m)Distanza di allerta (AD) – allevamento pulcini (m)Distanza di fuga (FID) – allevamento pulcini (m)
Gavia stellata150–300300–500300–500500–750
Aquila reale500–750750–1000750–10001000–1500
Falco pescatore150–300300–500300–500500–750
Falco pellegrino100–150300–500150–300500–750
Albanella reale50–100100–150100–150150–300
Gallo cedrone (femmina)10–5050–10010–50100–150
Barbagianni10–5050–10010–5050–100
Gufo di palude50–100100–150100–150150–300

Fonte: https://www.researchgate.net/profile/D-Whitfield-2/publication/288901092_A_review_of_disturbance_distances_in_selected_bird_species/links/56915c6408aee91f69a513d1/A-review-of-disturbance-distances-in-selected-bird-species.pdf

Queste quantificazioni sono però molto generiche e valgono principalmente per i visitatori delle aree protette ma non sono applicabili alla fotografia naturalistica perché i fotografi naturalisti si muovono singolarmente o in 2, non in gruppi, anche numerosi, come può avvenire per i visitatori di un’area protetta; inoltre, e lo si auspica, i fotografi naturalisti sanno muoversi sul campo per avvicinarsi ad un animale selvatico, del resto provocarne la fuga impedirebbe loro di realizzare buone foto.

Come si vede dall’ultima tabelal (e anche in altri studi simili) la distanza di sicurezza varia in base ai momenti della vita di una specie, sia perché la specie stessa ha distanze di allarme e fuga maggiori o minori sia perché il rischio di danno nel disturbo varia in funzione del momento in cui avviene:

1) Sito di nidificazione/fasi di riproduzione (ad es femmine con cuccioli): in questo caso gli animali vanno in allarme molto presto e le distanze di allerta e fuga sono maggiori. In questo caso anche un eventuale disturbo può avere gravi conseguenze.

2) Alimentazione: gli stessi soggetti della stessa specie in momenti dedicati all’alimentazione presentano generalmente distanze di allarme e fuga minori e anche l’eventuale danno dovuto al disturbo è meno grave anche se bisogna considerare anche una sotto-situazione e cioè la stagione: disturbare una specie in fase di alimentazione in inverno può avere conseguenze più gravi rispetto ad un disturbo simile nella bella stagione

3) Riposo, ibernazione, roosting: in questo caso le distanze di allarme e fuga si accorciano ulteriormente ma può essere abbastanza pericoloso in termini di conseguenze disturbare i sogggetti in queste situazioni

4) Situazioni normali: sono tutte le altre situazioni in cui si può incontrare una specie, in questo caso un eventuale disturbo non arreca alcun danno o problema, l’animale se non si sente al sicuro semplicemente scappa e si allontana.

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Inoltre le distanze di fuga, come già comunque ampiamente spiegato nelle relative pubblicazioni, sono molto variabili in base ad altri due importanti fattori da tenere in considerazione:

1) Soggettività: non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo ad un disturbo dunque le distanze di allerta e di fuga cambiano non solo in modo specie-specifico ma anche in modo soggettivo e per età infatti nella maggioranza dei casi i giovani sono spesso più curiosi e meno sospettosi rispetto agli adulti

2) Habitat: grande fonte di variabilità nelle distanze di fuga è l’Habitat, questo vale soprattutto per gli habitat più o meno antropizzati. La stessa specie presenta distanze di allerta e fuga completamente diverse tra habitat frequentati e disturbati dall’uomo e habitat più “naturali”; gli esempi sarebbero a centinaia ma per citarne solo uno possiamo prendere in considerazione il Falco pellegrino: un Falco pellegrino in una situazione di nidificazione in ambiente urbano ha distanze di allerta e di fuga ben inferiori (circa 30-40 metri) rispetto alle stesse distanze misurate in un sito di nidificazione in una parete rocciosa in un ambiente naturale meno frequentato dall’uomo (100 a 750 metri).

In conclusione le distanze di allarme e fuga generalmente valutate nelle pubblicazioni scientifiche non sono applicabili alla fotografia naturalistica a meno che non si tratti di studi appositi condotti specificamente sulle distanze per scopi fotografici. Questo non vuol dire però che i fotografi possono avvicinarsi quanto vogliono, il disturbo ha sempre la probabilità di avere conseguenze gravi ed è punito legalmente oltre che eticamente intollerabile. Il fotografo deve rispettare le eventuali regole e cartelli presenti in zona e comunque deve sempre agire “a feedback” soprattutto per il benessere dei soggetti ma anche per il suo stesso interesse; previa una buona conoscenza della biologia delle specie il fotografo naturalista corretto deve conocere i segnali di allarme (comportamentali, acustici) di una specie e fermarsi se non anche arretrare qualora veda uno di questi segnali che portano la specie ad allarmarsi perché vuol dire che è stato notato e il soggetto è pronto alla fuga qualora il fotografo si avvicini ulteriormente. La distanza di allerta è dunque un importante punto di riferimento che da il segnale di fermarsi lì ed eventualmente arretrare ma sicuramente non avvicinarsi ulteriormente.  Come si è già detto non è facile realizzare tabelle standardizzate con le distanze di allerta delle varie specie perché questa misura è molto variabile dunque sta al fotografo avere le necessarie conoscenze sulla biologia della specie per capire quando fermarsi. Infine, ovviamente, è sconsigliabile tentare avvicinamenti anche entro al distanza di allerta, in situazioni ben più pericolose come appunto i siti di nidificazione, tane, femmine con cuccioli, siti di riposo, ibernazione ma anche in caso di soggetti in alimentazione nella stagione fredda.

Bibliografia sulle distanze di fuga

  1. Blumstein, D.T., et al. (2003). Flight-initiation distance in birds is dependent on intruder starting distance. Journal of Wildlife Management. MDPI+5Taylor & Francis Online+5blumsteinlab.eeb.ucla.edu+5
  2. Weston, M.A., et al. (2021). A review of disturbance distances in selected bird species. ResearchGate. Wiley Online Library+8ResearchGate+8Cambridge University Press & Assessment+8
  3. Fernández-Juricic, E., et al. (2001). Testing a key assumption of wildlife buffer zones: is flight initiation distance a species-specific trait? Biological Conservation. ScienceDirect+1obpa-nc.org+1
  4. McGowan, C.P., et al. (2002). Database of Bird Flight Initiation Distances to Assist in Estimating Buffer Zones. Journal of Fish and Wildlife Management. PMC+4estebanfj.bio.purdue.edu+4MDPI+4
  5. Randler, C. (2022). Recommendations on How to Use Flight Initiation Distance Data in Birds. MDPI Biology. Wiley Online Library+3ResearchGate+3PMC+3
  6. Cerri, J., et al. (2019). Acceptability of wildlife observation at protected areas: A study in the Gran Paradiso National Park. IRIS UniTo.
  7. Ossi, F., et al. (2022). The impact of anthropogenic disturbance on the behaviour and ecology of the golden jackal (Canis aureus). ResearchGate. ResearchGate
  8. Morelli, F., et al. (2022). Flight initiation distance and refuge in urban birds. Science of The Total Environment. MDPI+13blumsteinlab.eeb.ucla.edu+13PubMed+13
  9. Møller, A.P. (2015). Flight initiation distance and refuge in urban birds. ScienceDirect. ScienceDirect
  10. Knight, R.L., & Gutzwiller, K.J. (1995). Wildlife and recreationists: coexistence through management and research. Island Press.
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La manipolazione di animali dovrebbe sempre essere evitata anche sulle specie per le quali non è vietata dalle leggi

L’Etica

L’etica viene spesso citata nel campo della fotografia, ma si tratta di un vero e proprio campo minato. Molti comportamenti in fotografia vengono spesso ritenuti non etici pur non avendo conseguenze legali o sulla conservazione; allo stesso modo tanti modi di fotografare vengono ritenuti eticamente corretti quando invece hanno o possono avere conseguenze sulla conservazione delle specie. Definire ciò che è eticamente corretto e ciò che non lo è risulta quindi molto complicato. Per questo motivo i parametri più importanti da considerare nell’utilizzo delle tecniche fotografiche dovrebbero essere piuttosto gli aspetti legali e quelli relativi alla conservazione.

La conservazione

La conservazione lavora a un livello superiore, non sul singolo individuo ma sulle popolazioni. Raramente situazioni fotografiche possono portare a criticità a livello conservazionistico, perché dovrebbero operare su vasta scala. Questo comunque non vuol dire che la fotografia naturalistica non debba avere un’etica e delle regolamentazioni, soprattutto quando si parla di specie particolarmente delicate, rare e protette.

La relatività delle cose

La relatività rappresenta un importante aspetto in tutti questi ragionamenti su etica, disturbo, danno e conservazione. Il modo migliore per spiegare l’importanza della relatività è qualche esempio pratico: è inutile che un fotografo si ponga il problema dell’etica/disturbo/danno, per esempio evitando di catturare temporaneamente e manipolare un insetto in un campo se poi per raggiungere quel posto e per tornare a casa usa l’auto con cui percorre km e km di strada in mezzo ai boschi, uccidendo decine di invertebrati, senza accorgersene. Allo stesso modo è inutile che un fotografo si preoccupi di non disturbare una nidiata di civette se ogni stagione riproduttiva in centinaia e centinaia di luoghi in Italia si fanno lavori di ristrutturazione in edifici in periodo riproduttivo che portano alla distruzione di centinaia di nidi di civetta. Inutile criticare un fotografo che pastura gli uccellini per fotografarli quando involontariamente si lasciano fuori nel giardino i croccantini al cane/gatto che attraggono anche altri animali selvatici come i ricci. Inutile criticare chi cattura e sposta insetti per fotografarli meglio se poi si usano senza problemi lumachicidi, topicidi ed erbicidi nel proprio giardino (che hanno conseguenze ben più gravi). Gli esempi potrebbero continuare per centinaia di pagine ma l’importante è aprire gli occhi sulla relatività delle cose usando esempi concreti e reali.

Più in generale il concetto di relatività si può estendere in questo senso: ci sono problematiche ben peggiori per gli animali e la natura e bisognerebbe preoccuparsi più di queste problematiche piuttosto che dell’eventuale disturbo che possono arrecare i fotografi naturalisti. In questo caso siamo a livello di conservazione della specie o delle popolazioni: la fotografia naturalistica fin’ora non fa parte delle cause di declino delle specie che sono appunto molto più gravi; giusto per fare alcuni esempi: bracconaggio, traffico stradale, perdita dell’habitat, inquinamento e avvelenamento, impatti con strutture artificiali, prelievo e commercio illegale etc.

L’emulazione: il problema più grave

Un ruolo molto importante viene giocato dal grave problema dell’emulazione, i cui effetti negativi sono amplificati dall’aumento quasi esponenziale del numero di fotografi naturalisti che si sta verificando negli ultimi anni.

Se un determinato tipo di foto viene scattata da un fotografo preparato, che sa bene come operare per annullare o minimizzare il disturbo, la stessa foto può essere imitata da decine di altri fotografi, alcuni dei quali probabilmente non avranno le necessarie conoscenze e attenzioni per evitare il disturbo, con i relativi rischi di provocare dei danni.

Da questo punto di vista si potrebbe pensare di risolvere il problema dell’emulazione vietando di pubblicare certi tipi di foto nei concorsi o nelle community ma sarebbe una falsa soluzione; certe foto, ad esempio quelle ai nidi, rimarrebbero comunque pubblicate in decine di siti o nei vecchi libri di fotografia naturalistica e potrebbero facilmente stimolare e ispirare i fotografi delle nuove generazioni. È comunque giusto che grandi community di fotografi e concorsi vietino certi tipi di foto, questo sicuramente aiuta nel ridurre i rischi dell’emulazione anche se non è la soluzione; da questo punto di vista è più importante informare e sensibilizzare i fotografi naturalisti sui rischi (anche legali) che si corrono quando si praticano certe tecniche fotografiche e come minimizzare tali rischi.

La conoscenza

Conoscere i soggetti è di importanza critica; conoscere la loro biologia, saper leggere il loro comportamento, capire quando si sta arrecando disturbo e capire che tipo e che livello di disturbo si sta arrecando è importantissimo per operare al meglio ed evitare ogni rischio di danneggiare i soggetti.

La conoscenza della biologia delle specie, è inoltre fondamentale per poter produrre delle buone foto; tentare di eseguire scatti con tecniche complesse e relativo rischio di arrecare disturbo o danno, senza conoscere la biologia del soggetto che si sta fotografando difficilmente porterà ad ottenere dei buoni scatti. Come si spiegherà meglio nella sezione dedicata alla fotografia macro o alla fotografia della fauna è infatti importante che le foto risultino scientificamente corrette e che abbiano qualcosa da raccontare sulla vita, le abitudini o le caratteristiche del soggetto; una foto che non racconta nulla ha poco valore.

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